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      Il vostro istoriaro a ufoG. G. Belli
     
      LETTERA 612.
      A LUIGI E CHIARA FERRETTI - FRASCATIDi Roma, 26 agosto 1855: domenica (Al mezzodì)
      Nelle ore vespertine di ieri, miei amabilissimi lettore e lettrice, Chiara e Luigi, la oncia di cremore, che sin dal bel mattino era entrata per una porta nella fabbrica di Cristina, riuscì finalmente per l'altra, senza però grande accompagnamento che valesse a distinguere con qualche solennità quell'egresso da un egresso ordinario, e tanto meno in quanto per quell'uscio non era fin da tre giorni venuto fuori nessuno. Il latte intanto seguita, ma diconlo un po meno denso di prima. Per oggi vacanza: dimani poi si darà accesso e secesso a mezz'oncia di sale inglese, e se ne spera un passaggio ben più solenne, trattandosi di un forestiere.
      Giacché siamo sul proposito di evacuazione, seguitiamo un momento lo stesso soggetto. Neppur noi siamo contenti nell'essere le materie di Teresa ritornate alquanto, circa a qualità, verso quel ch'erano in passato ma pure, così stando le cose, lodiamo la ripetizione del tamarindo, e vogliam lusingarci che il non propizio fenomeno non da altra morbosa causa sia derivato fuorché dal calore dell'atmosfera, così cresciuto in questi ultimi giorni. Tanto più entriamo volentieri in simile opinione al vedere non aumentate le deiezioni né in numero né in quantità. Proseguiamo dunque colle stesse norme e cautele da Voi così bene osservate riguardo alla cara bambina, ed aspettiamo la benefica azione del tempo sussidiata dalla cooperazione dell'aria. Circa poi al caldo, se in Frascati ne fa assai, qui a Roma si arde.
      Diverse varianti all'articolo portone della posta. Fu aperto nel dopo-pranzo, perché nelle ore pomeridiane suole il Papa recarsi a S. Luigi de' francesi, e non di mattina come parevami. Ora, il Santo Padre arrivò a S. Luigi alle 5 1/2, ne riuscì alle 6 1/4, rimontò in carrozza, e se ne andò pe' fatti suoi senza guardare in faccia il famoso o famelico portone, che se ne stava lì a bocca aperta coll'architetto fra i denti come il Lucifero dell'Alighieri.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
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