G. G. Belli
LETTERA 616.
A CRISTINA BELLI - FRASCATIDi Roma, sciabà 15 settembre 1855 / Al mezzodì
Mia cara Cristinella
In riscontro alla tua breve (e così va bene) letterina di ieri 14 vengo io primo in iscena per mandare innanzi come un prologo all'opera principale, che di ragione appartiene verso di te al nostro Ciro. Tu, siccome leggo nel tuo ultimo foglio, vorresti però da lui scritti alquanto più diffusi; e questo tuo amoroso desiderio è naturalissimo. Ma perdonagli, figlia mia, se ciò non va sempre secondo le tue brame. Il natural laconismo di Ciro nostro, il poco spazio d'ora e talvolta i momenti che gli restano a simile cura dopo tornato a casa, e finalmente la scarsa materia che io con soverchieria gli lascio dopo esaurito o tutto o quasi tutto quel che vi fosse da dire; ecco, a quanto sembrami, i tre motivi della concisione ordinaria delle lettere di Ciriuccio come chiamavalo Torricelli. Un veterano sedentario, qual'io mi sono, si mette qui acculattato sur una poltrona, e col suo stile di brodo lungo allarga ed accresce ed amplifica i soggettuzzi delle sue lettere, tanto che bastar possano a tutta una Regola di frati. Ma Ciro, fantaccino in azione, deve assai di sovente far le cose a sospetto di fuga; e tu pensa, cara figlia, che il fuggitivo è quel benedetto tempo, il quale arriva, passa, si dilegua, senza mai volgersi indietro e senza aspettare nessuno. A tutto questo mio profluvio di parole tu farai una stretta di spalle, e lo dirai una tiritera da ciarlatano. E tu chiamalo come ti pare, ché io non ti scapiglierò per questo, purché tu voglia bene al nostro Ciro ed a me povero vecchiarello, i quali ne vogliamo a te tanto e tanto. Di ciò, spero, sarai persuasa.
Dunque la Teresuccia pianse più volte, dicendo e papà mio dove sta? Come è amorosa quella creatura! Iddio ce la conservi, ma nel conservarcela voglia pure degnarsi di non farla così sensitiva come accenna voler divenire.
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