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      Di Roma, sabato 6 ottobre 1855 (Al mezzodì)
      Riscontro, mia cara e buona figlia, la tua lettera di ieri, giunta nello stesso momento presso a poco in cui tu dovesti ricevere la nostra della giornata medesima; e per primo capo ti ringrazio anche da parte di tuo zio e di Barbara della affettuosa premura che mostri ed hai per la nostra salute, la quale, grazie a Dio, è buona in noi tutti. Di sommo contento poi ci riesce l'udire da te buone notizie de' tuoi cari ciumachelli, i quali bacerai, abbraccerai e accarezzerai per noi finché sii stracca. Della salute tua propria non dici mai niente e questo, Cristina mia, è un gran vuoto che tu lasci nelle tue lettere. Ciro dice che tu stai bene, e voglio ben crederlo, non sapendo egli mentire; ma una paroletta di più uscita su questo proposito dalla tua penna farebbe anch'essa la sua bella figura.
      Passiamo ora a un differente articolo meno grazioso. Questo ridicolo tappo del Sig. Achille, marito di Pasqua, ha dichiarato oggi apertamente di voler levare la moglie dal servizio. E il motivo? È geloso di tutti quelli dai quali la moglie va a spendere. Farà la grazia di lasciarci la sua Cleopatra, Elena, Semiramide o Venere che sia, sino alla metà di questo mese, e sarà stupendo miracolo di sua clemenza se vorrà mai protrarre l'indugio sino al dì 31. Ha già disdetto la stanza in via di Magnanapoli pel giorno 15: ne prenderà un'altra ai Monti; e lì, egli dice, starà la moglie sempre ritirata, e mangerà quanto e quando ei le ne porti: lo che significa in buon volgare che questa povera sciagurata starà fresca come un sorbetto. Insomma, tutto il genere-umano maschio insidia questo portento di venustà, al cui paragone ogni lucertola verminaria diventerebbe una stella. Intanto eccoci vicini al punto di restar senza donna, e di una donna buona, fidata, discreta ed affettuosa.


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Le lettere
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 963

   





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