Di Roma, venerdì 26 ottobre 1855
alle ore 10 antimeridianeMia carissima Cristina
È ieri accaduto a Roma un miracolo, un miracolo strepitoso, di quelli che non si possono vedere senza far ritorno alla fede, chi per disgrazia se ne fosse allontanato. Le conversioni debbono derivarne numerosissime, e più che se avuto avessimo un giubileo. Io, che pel primo m'incontrai al prodigioso fatto, mi sentii torcer la bocca dietro le orecchie, e non m'è ancora ben ritornata al suo segno ordinario. Ma che cosa è stata? Francesco Spada del quondam Alessio riportò zitto-zitto il castello dell'orologio di anticamera, senza aspettare il decennio dalla rimozione! Interrogato da me tutto ancor tremante dallo sbigottimento, sulla ricompensa da darglisi per simile opera, rispose: me la intenderò con Carluccio. Previeni tu dunque Carluccio, affinché vada tutto in regola.
L'incomodo di tuo zio procede anch'esso in piena regola. Momenti fa ci è stato Melata, che viene sempre mattina e sera. Egli permette a Sigismondo di mangiar quel che vuole e di andar dove vuole; e questi si sente bene e fa vita da sano.
In Roma i calzolai non sono mai stati tanto bizzarri ed eleganti e festeggiosi quanto descrivi tu quelli di Frascati. Qui si contentavano, quando era lecito, di onorare il loro Santo con tre o quattro o cinque o sei imbriacature. Del resto, circa i guanti, mi piacerebbe l'osservare un calzolaio con un guanto bianco in una mano, e coll'altra mano sguantata, perché a me vanno a genio i confronti. E quanto alle lor corse nel sacco (allorché si costumavano), mi pare fosse giusto che mettendo essi tante volte in sacco gli altri, vi entrassero, almeno una volta l'anno, eglino pure, non fosse altro per simbolo della professione.
E la imminente Accademia? Io pregherei quasi il boia che mi mettesse prima a dormire.
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