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      Quanto mi narrate su questo proposito onorerebbe anche una donna munita de' più validi soccorsi della esperienza. Tanto più vedrei quindi con soddisfazione combinarsi un nodo che supera anche i limiti di quanto mi fosse lecito desiderare. Ciro però ha molto meno di quello che potrà un giorno possedere Matilde. Forse però non istarà colle mani alla cintola e sarà capace di guadagnare per dar ristoro al suo patrimonio. Per le qualità esterne voi dite che (a quanto sapete) non è niente brutto. Non mi negherete peraltro che debbo saperne qualche cosa ancor io; e quindi vi posso rispondere che non è niente bello. A me è geniale perché gli son padre, ed ogni scimia accarezza il proprio scimiotto. Per saviezza altronde, dolcezza, gravità non pedantesca, e onestà, quì gli fo sicurtà io. Eppure fra le vaghezze che avrebbe a' miei occhi questa architettata alleanza, avvi la sua spinetta che mi punge il cuore. La vostra famiglia pare che per varie ragioni non abbandonerebbe codesti luoghi: io non potrei muovermi di quì, dove mi incatena non la inclinazione ma il dovere e la necessità. Chi di noi dunque dovrebbe togliersi dal fianco ciò che più ama? Ah! già lo prevedo: toccherebbe al povero vecchio di Belli! Dovrei forse restar solo quando più sentissi il bisogno di compagnia. In quanto a Ciro il vivere in provincia e presso i campi sarebbe la sua delizia. Né io provo inclinazioni diverse: Roma mi annoia. Ma come vivrei abbandonando l'impiego? Per ottener giubilazione mi mancherebbe il tempo dell'esercitato servizio, poiché i sedici anni della trascorsa quiescenza non potrebbero a senso di legge essermi valutati.


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Lettere a Cencia
Volume Primo e Secondo
di Giuseppe Gioachino Belli
pagine 246

   





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