Ed eccovi una lettera più lunga d'una portonata, o d'un giro-di-mura.
Sono con sincerità.
Il vostro affezionatissimo amico e servitoreG.G. Belli.
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Alla Nobile e Gentil Donna
Sig.a Vincenza Perozzi, N.a M.sa Roberti
Macerataper Morrovalle
Di Roma, 8 febbraio 1845
G.[entilissima] A.[mica],
Ricevo oggi la vostra del 4, e subito la riscontro. Trovomi io sempre senza salute, frase che equivale al sempre male; e la ultima sera di carnevale mi fu forza passarla sotto l'azione di un buon numero di sanguisughe (con rispetto) al preterito, per coronare così un Carnevale passato in una perfetta privazione di qualunque sollievo. La generosa sanguigna emorroidale non servì, al solito, che a viemmaggiormente convincermi della impotenza di noi poveri uomini nel cercare di allontanare da noi le sventure che ci travagliano. E tutto questo entra nell'ordine. Non potendo io dunque escire di casa, specialmente nel pessimo tempo che corre, mi sembra difficile il poter vedere la Madre Ignazia: difficilissimo poi, se ella, come mi dite, poco si tratterrà in Roma; in questa circostanza, non è faccenda da zoppi. Non deriverà però da volontà mia il non vederla e parlarci; che anzi farò quanto per me si possa onde appagare questa vostra premura. Dunque vedremo. Mi maraviglio peraltro che fra i contingibili voi travediate in nube qualche lieve probabilità che le mie parole fossero capaci di dissuadere la Reverenda dal tornare in Convento; perché Voi sapete, come so io, che simili vocazioni procedono dal Signore, contro la voce del quale riesce troppo meschina ed invalida la lingua di un povero peccatore quale io sono, e peggio ancora la lingua di un omiciattolo par mio, verso il quale l'animo della pia donna non sembra molto benevolo: quantunque Voi potreste citarmi in contrario tanti belli ed edificanti esempii di poverissimi strumenti de' quali la provvidenza volle spesso valersi per ottenere gravi e strepitosi successi, atti a modificare la umana superbia.
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