Di Roma, 10 Xbre 1833
G.[entilissima] A.[mica]
Ieri sera ebbi una vostra del pr[i]mo corrente. Se Dio vuole, è venuta prestino!, ma, portando a tergo il suo bel marco del 9, fa pensare che diavolo mai si acciabbattino [sic] codeste vostre poste, o codesti vostri postini. In ogni modo io già vi ho dato nella mia del 5 una notizia che or mi chiedete. Le Carte. Se non si scioglie il Concorso e l'Economato colle stesse formalità, e (credo sicuramente) colle stesse spese con che fu legato dal Sovrano, le carte dell'Uditor Ill.mo si niegano; e questo Prelato lo ha detto alle stesse mie orecchie. Intanto io mi recherò nuovamente da Piccolomini per le indagini che mi accennate. Pel resto ci risentiamo. Intanto vi prego di non onorarmi con tanti elogii, perché né li merito, né mi piacciono. Che si pensi non male di me, e in conseguenza di questi pensieri si tenga in mia presenza un contegno non umiliante, è tanto grato per me quanto ad ogni altro uomo. Ma elogi in faccia al lodato sono una specie di imbarazzante accusa che l'obbliga a una difesa, che spesso riesce ridicola. Quando vi convenga scrivermi, ditemi il vostro bisogno secco secco. Se io allora saprò o potrò servirvi, lo farò senza cerimonie. In quanto a una sicura guida per l'educaz[ion]e della vostra bambina, io mi credo incapace di darvela, tanto più che fra voi e me si sono scoperti varii punti di discorde sentire. Vedete: io non riusciva neppure ad allevare mio figlio; e perciò rinunciando mortificato al desiderio mio primitivo ho affidato Ciro a un Collegio.
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