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      Già, egli non si sentiva fatto per le difficili fasi d'una grande passione; per lui ci voleva proprio l'amore d'oggigiorno, piano, senza complicazioni, ben educato. Era tanto pigro, tanto indolente quel Giuliano! Anzi, era uno dei suoi pregi, dei suoi mezzi di seduzione quella sua indolenza languida, dolce, gentile, che si tradiva nei suoi modi, nella sua voce, fin nei suoi sguardi, che dava alla sua sana bellezza bionda un carattere speciale. La Baronessa lo chiamava creolo..., e quella disinvoltura che aveva l'arte di ridurre tutto a un'espressione placida, facile, elementare, schiva-fatica, armonizzava, forse per forza di contrasto, colla tempra insolentemente energica di quella donna. Però l'aveva voluto e serbato schiavo sino al momento in cui gli aveva concesso di ribellarsi. Le era parso che qualcun altro l'avrebbe meglio, o solo altrimenti, divertita. E ora, egli non ci voleva tornare laggiù in quel gabinetto color pesca a fiori di granata, non ci voleva tornare. E non ci tornò.
      Siccome era creolo, così accadeva qualche volta che la sua stupenda vesta da camera orientale avvolgesse tuttora le sue forme da Apollo impinguato, in quell'ora privilegiata durante la quale la gente per bene esce di casa e popola i Portici, via di Po e il Corso. Allora accendeva un chibouk e sfogliazzava un romanzo. Ma tant'è eran lunghette quelle ore.
      Il suo salotto era un mezzo museo, e la povera mamma gli aveva dati i suoi due cachemires turchi, perch'egli ne facesse delle portiere; ma dalla finestra di fianco si vedeva l'angolo d'un'ala del palazzo, molto deteriorata, molto.


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Mia
Romanzo
di Ines Castellani-Fantoni Benaglio (alias Memini)
G. Galli Editore Milano
1884 pagine 180

   





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