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      E il parigino di cui io parlo, anche senza avvedersene, viene assuefacendosi a perpetui raziocini o, per dirla a modo del Vico, diventa filosofo.
      Se la stupiditá dell'ottentoto è nimica alla poesia, non è certo favorevole molto a lei la somma civilizzazione del parigino. Nel primo la tendenza poetica è sopita; nel secondo è sciupata in gran parte. I canti del poeta non penetrano nell'anima del primo, perché non trovano la via d'entrarvi. Nell'anima del secondo appena appena discendono accompagnati da paragoni e da raziocini: la fantasia ed il cuore non rispondono loro che come a reminiscenze lontane. E siffatti canti, che sono l'espressione arditissima di tutto ciò che v'ha di piú fervido nell'umano pensiero, potranno essi trovar fortuna fra tanto gelo? E che maraviglia se, presso del parigino ingentilito, quel poeta sará piú bene accolto che piú penderá all'epigrammatico?
      Ma la stupiditá dell'ottentoto è separata dalla leziosaggine del parigino fin ora descritto per mezzo di gradi moltissimi di civilizzazione, che piú o meno dispongono l'uomo alla poesia. E s'io dovessi indicare uomini che piú si trovino oggidí in questa disposizione poetica, parmi che andrei a cercarli in una parte della Germania.
      A consolazione non pertanto de' poeti, in ogni terra, ovunque è coltura intellettuale, vi hanno uomini capaci di sentire poesia. Ve n'ha bensí in copia ora maggiore, ora minore; ma tuttavia sufficiente sempre. Ma fa d'uopo conoscerli e ravvisarli ben bene, e tenerne conto. Ma il poeta non si accorgerá mai della loro esistenza, se per rinvenirli visita le ultime casipole della plebe affamata, e di lá salta a dirittura nelle botteghe da caffé, ne' gabinetti delle Aspasie, nelle corti de' principi, e nulla piú. Ad ogni tratto egli rischierá di cogliere in iscambio la sua patria, ora credendola il capo di Buona speranza, ora il cortile del Palais-royal.


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Scritti critici e letterari
di Giovanni Berchet
Laterza Bari
1912 pagine 282

   





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