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      - E noi - dissero eglino, - noi abbiamo altro Dio, altro culto; abbiamo anche noi le nostre superstizioni; abbiamo altre leggi, altri costumi, altre inclinazioni piú ossequiose e piú cortesi verso la beltá femminina. Caviamo di qui anche noi le malie nostre, e il popolo c'intenderá. E i versi nostri non saranno per lui reminiscenze d'una fredda erudizione scolastica, ma cose proprie e interessanti e sentite nell'anima.
      A rinforzarli nella determinazione soccorse loro l'esempio altresí de' poeti che dal risorgimento delle lettere in Europa fino a' dí nostri sono i piú famosi. E chi negherá questi essere tanto piú venerati e cari, quanto di queste nuove malie piú sparsero ne' loro versi?
      Cosí i poeti d'una parte della Germania, co' medesimi auspici, con l'arte medesima né piú né meno, col medesimo intendimento de' greci, scesero nell'aringo, desiderarono la palma e chiesero al popolo che la desse loro. E il popolo, non obbliato, non vilipeso da' suoi poeti, ma carezzato, ma dilettato, ma istruito, non ricusò d'accordarla.
      A che miri la parola mia, tu lo sai: però fanne senno, figliuolo mio, e non permettere che la paterna caritá si sfoghi al vento. So che agli uomini piace talvolta di onestare la loro inerzia con bei paroloni. Ma io non darò retta mai né a te né a chiunque mi ritesserá le solite canzoni: e che l'Italia è un armento di venti popoli divisi l'uno dall'altro, e ch'ella non ha una gran cittá capitale dove ridursi a gareggiare gli ingegni, e che tutto vien meno ove non è una patria.


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Scritti critici e letterari
di Giovanni Berchet
Laterza Bari
1912 pagine 282

   





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