Ma impaurito si arretra ognuno. Solo a Terone il cuore non batte di paura. Egli bestemmia la viltá de' compagni, bestemmia la lor divozione, bestemmia Dio; e si avventa alla fiera. Quella, come mossa dalla divina vendetta, sdegna ogni altro nemico e si scaglia su Terone, né lo lascia che dopo di avergli tolto e ardimento e vita. Dismessa poi la ferocia, anch'essa, la fiera, viene ad offrirsi da sé a' colpi de' cacciatori, e cade morta. E il poeta, che sente oramai stracco il suo colascione, dá fine al canto con un paio di versi, tutti novitá di pensiero, tutti eleganza di modi:
Imparate giustizia, o genti umane,
e non spregiar le deitá sovrane.
Virgilio glieli perdoni. E tu perdona a me se ti ho fatto ingozzare tutto questo episodio. Quel poema della Caccia so che non lo hai letto mai, né lo leggerai forse, benché stampato fra i Classici italiani; del che non vorrò biasimarti. Ma a' discendenti di quegli eruditi che, zelanti della loro Italia, seppero trovare l'origine italiana del Paradiso perduto del Milton, io regalo questo bel pezzo del museo Valvasoni, insieme alla novella ottava della Giornata quinta del Decamerone, affinché ne compongano un solo manicaretto, e ne estraggano la quintessenza, e se la bevano; poi, con una predica scritta sugosamente, sul fare, per esempio, delle orazioni di monsignore Della Casa, escano a ridomandare le sostanze che sono di nostro diritto, mostrando come in Italia v'abbia la semenza di tutto e come, in fine del conto, gli stranieri non si facciano pavoni che con le penne nostre.
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