Basterebbe che questa infame novella della pineta di Ravenna venisse creduta vera a' dí nostri e lodata in Italia, perché fosse data vinta la causa a quegli stranieri che ci mandano titolo di vendicativi, di feroci, di superstiziosi e di poco religiosi nel cuore. Ma come è vero che noi non siamo cosí tristi, nessuno in Italia vorrebbe oggi avere scritto egli quel vituperio della pineta. E Dio lo tolga dalla memoria fino de' bibliotecari!
Leggi ora, figliuolo mio, la traduzione della Eleonora.
ELEONORA.
Sul far del mattino Eleonora sbalzò su, agitata da sogni affannosi: - Sei tu infedele, o Guglielmo, o sei tu morto? E fino a quando indugerai? -
Egli era uscito coll'esercito del re Federigo alla battaglia di Praga, e non aveva scritto mai se ne fosse scampato.
Stanchi delle lunghe ire, il re e l'imperatrice ammollirono le feroci anime, e finalmente fecero pace. Ed ogni schiera, preceduta da inni, da cantici, dal fragore de' timpani, da suoni e da sinfonie, adornata di verdi rami, si riduceva alle proprie case.
E da per tutto, da per tutto, sulle strade, sui sentieri, giovani e vecchi traevano incontro ai "viva" d'allegrezza de' vegnenti. - Sia lode al cielo! - esclamavano fanciulli e mogli. - Ben venga! - esclamavano assai spose contente.
Ma, oh Dio! per Eleonora non v'era né saluto né bacio.
Ella di qua, di lá cercò tutto l'esercito, dimandò tutti i nomi. Ma fra tanti reduci non uno v'era che le desse ragguaglio. Oltrepassate che furono da ultimo tuttequante le schiere, ella si stracciò la nera chioma(7), e furibonda si buttò sul terreno.
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