Lasciamo stare, dico, tutto questo. Sia pur vero l'ozio letterario di che ne si vuole rimproverati. Ma che potete voi dire di piú lusinghiero per noi? Questo nostro far nulla per le lettere non è egli il documento piú autentico della ricchezza che n'abbiamo? Chi non ha rinomanza, stenti la sua vita per guadagnarsela. Chi non ereditò patrimonio, sudi la vita sua a ragunarne uno. La letteratura d'Italia è un pingue fedecommesso. Bella e fatta l'hanno trasmessa a noi i padri nostri. Né ci stringe altro obbligo che di gridare ogni dí trenta volte i nomi e la memoria de' fondatori del fedecommesso e di tramandarlo poi tal quale a' figli nostri, perché ne godano l'usufrutto e il titolo in santa pace.
Però non ti dia scandalo, figliuolo mio, se certi lilliputti nostrali, non trovando altro modo a scuotersi giú dalle spalle l'oscuritá, si dánno a parteggiare nel seno della cara patria, e ripetono per le contrade della cara patria la sentenza universale d'Europa contro la cara patria nostra.
Oltrediché questi degeneri figli dell'Italia oseranno anche susurrarti altre bestemmie all'orecchio: come a dire, che la confessione de' propri difetti è indizio di generositá d'animo; che il nasconderli quando sono giá palesi a tutti è viltá ridicola; che il primo passo al far bene è il conoscere di aver fatto male; che questa conoscenza valse a' francesi il secolo di Luigi decimoquarto, alla Germania il secolo diciottesimo; e che in fine poi anche Dante, anche il Petrarca e l'Ariosto e 'l Machiavello e l'Alfieri stimarono lecito lo scagliare invettive amare contro l'Italia.
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