Un portare erba al prato sarebbe se i due volumi de' quali parliamo somigliassero in tutto e per tutto ai libri del Tiraboschi e del signor Ginguené. Ma o noi c'inganniamo, o la somiglianza per cento ragioni è tenuissima. E ciò basti per nostra discolpa.
Il signor Bouterweck dá principio alla storia della poesia e dell'eloquenza italiana con un discorso, in cui prima di tutto viene investigando qual fosse lo stato della lingua nostra al comparire di Dante. In questo argomento egli segue, e lo confessa apertamente, il libro latino di Dante medesimo Della volgare eloquenza. L'autore scende poi a parlare de' metri poetici de' moderni, delle ragioni per cui bisognò trovarli nuovamente e non ammettere que' degli antichi, della convenienza e della quasi necessitá della rima nelle poesie delle lingue moderne, della compiacenza con cui i nuovi popoli accolsero questo nuovo ornamento poetico, e del carattere originale che la rima diede alle forme esteriori della nuova poesia. Quantunque agli italiani non si attribuisca il merito d'avere inventata la rima, all'Italia nondimeno, dic'egli, e non ad altro popolo vuolsi saper grazie dell'avere nobilitati i metri rimati de' provenzali, volgendoli ad uso d'una migliore e piú vera poesia.
Ciò detto, l'autore imprende la rivista dei poeti e de' prosatori italiani, la quale, sbrigandosi di Guido Guinizelli, di Guido Ghislieri, del Fabrizio, ecc. ecc., col solo nominarli, incomincia propriamente da Guittone d'Arezzo e scende giú fin presso al declinare del secolo decimottavo.
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