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      Dante, il Petrarca, l'Ariosto, piú che alle regole, si lasciarono andare alla prepotenza del loro genio, al bisogno delle anime loro, e riescirono grandi nella libertá. Se se ne vuol levare la Gerusalemme del Tasso, tutti i poemi italiani, che, secondo i precetti de' pedanti, si direbbero regolari e perfetti, appartengono alla classe seconda o ad altra forse ancor piú bassa. Tutto ciò che v'ha di veramente poetico in Italia è dovuto alla libertá del vigor giovenile.
      Mediante la storia della poesia italiana viene per la prima volta a confermarsi nelle letterature moderne questa veritá: che il poeta allora solamente ottiene il fine piú sublime e piú vero dell'arte, quando tien conto del carattere della sua nazione e del suo secolo, e non lo ributta sdegnosamente come inopportuno a' suoi intendimenti poetici. La poesia de' poeti sommi d'Italia è poesia nazionale nello spirito del secolo in cui essi vivevano.
      Pei poeti del Quattrocento, del Cinquecento e del Seicento non fu poco imbarazzo quello in cui li metteva da un lato la venerazione entusiastica ch'erano tentati di tributare alle cose degli antichi allora scoperte, e dall'altro la inconvenienza di ripeterne servilmente le forme estetiche. La critica di que' tempi, debole troppo, non bastò sempre a preservarli dalla cieca imitazione, alla quale pareva che dovesse indurre tutti gli intelletti educati alle scuole la maniera con cui spiegavasi la Poetica d'Aristotile, considerandola come un corpo di leggi assolute ed obbligatorie quanto quelle di Giustiniano.


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Scritti critici e letterari
di Giovanni Berchet
Laterza Bari
1912 pagine 282

   





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