Parrebbe che nello spazio di cinque secoli, nel corso de' quali la civilizzazione non fu mai totalmente impedita ne' suoi progressi, ed in una terra come l'Italia, dove il sentimento del bello č tanto indigeno, la poesia e l'eloquenza, tenendo dietro ad ogni accidente dalla crescente civilizzazione, dovessero svilupparsi a poco a poco per tutti i modi possibili di varietá ed in tutte le forme che fossero in qualche armonia col modo di pensare e coi costumi universali della nazione. Com'č che ciň non avvenne? com'č che la pittura italiana non lasciň via alcuna intentata, cercando di conseguire l'originalitá per mille diverse maniere; e la poesia invece parve timorosa di novitá e rade volte escí della via battuta? Non č difficile il trovare nella storia della civilizzazione d'Italia lo scioglimento d'un tale enimma.
Assai piú che quelle del pittore, le invenzioni del poeta dipendono dall'educazione morale dell'intelletto. Ma presso gli italiani questa educazione morale non fu spinta mai a quel grado di voga, a cui salirono la erudizione e le dottrine ecclesiastiche. Nella moderna Italia, dal Trecento in poi, l'intelletto non ebbe mai quella piena libertá che lo aveva favorito nell'antica Grecia. E perň il genio de' poeti italiani non poté mai volgersi ovunque gli piacesse con energia assolutamente libera. Angustiati essi da questi vincoli, non volsero mai il pensiero a trovare un modo di poetare che non procedesse dalle fonti dell'antichitá, non da quelle de' primi tempi romantici e del cristianesimo, ma sibbene da una nuova maniera di contemplare l'uomo e la natura.
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