Dopo tutta questa tiritera d'inezie, do un'occhiata alle note a piè di pagina, poi ad altre pagine piú avanti e ad altre piú indietro; e m'accorgo che la povera madama de Staël non sa cosa si dica, e non trova altra soluzione del problema fuorché nell'analizzare le instituzioni civili ed il carattere morale pubblico de' romani, e nel derivarne la nullitá del loro teatro tragico. - Che libro superficiale! - diss'io allora - che miseria d'ingegno! - E mi si schiusero gli occhi dell'intelletto, e sbadigliai su' miei traviamenti, e corsi ripentito a spolverare i volumi del Tiraboschi, sovvenendomi che anch'egli aveva parlato su questa materia. Corro all'indice; salto di lá al tomo primo, e mi innamora tosto la gravitá di quelle parole a pagina 174, § LI:
Prima di passar oltre, parmi che una non inutil quistione debbasi a questo luogo trattare, cioè per qual ragione, mentre in ogni altro genere di poesia arrivarono i romani a gareggiare co' greci, nella teatral solamente rimanessero sempre tanto ad essi inferiori.
Io proseguiva a leggere; ma mi convenne obbedire al Tiraboschi, che mi rimandò molte pagine indietro. Dal qual mio viaggio retrogrado venni a raccogliere che prima de' bei tempi della romana letteratura la poesia teatrale non era ancor molto in fiore, "per la ragione che l'arte di poetare non era in quell'onore che convenuto sarebbe".
Illuminato di tanto, tornai al § LI, onde sapere "perché nel piú bel secolo della romana letteratura la poesia teatrale non giugnesse a maggior perfezione". E qui confesso l'alta ammirazione che svegliò in me la logica semplice e chiara, e nondimeno profondamente intuitiva, con cui il chiarissimo Tiraboschi, sorretto da Orazio, ebbe la bontá di confidarmi che questo non fiorire della tragedia presso i romani proveniva dallo "strepito grande che facevasi nel teatro, sicché appena vi si potevano udire ed intendere i versi", ecc. ecc.
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