1196. "O Dante - dice la Rivista - si giovò di tutte, o non se ne giovò di nessuna". E questa ultima credenza par piú ragionevole a chi considera la natura dell'ingegno di Dante, "il quale per altro - segue a dire la Rivista, - vedendo stabilita per opera de' frati nella fede popolare una specie di mitologia visionaria, pensò d'adottarla, nella stessa maniera che Omero aveva adottata la mitologia del politeismo".
Ma la vera idea del suo poema Dante non la derivò da altro che dal suo animo nobile e caldo di generosa onestá. "Egli da sé solo concepí e mandò ad effetto il disegno di creare la lingua e la poesia d'una nazione, di rivelare le piaghe politiche della sua patria, di mostrare alla Chiesa ed agli Stati d'Italia come l'imprudenza de' papi e le guerre intestine delle cittá e la conseguente introduzione di eserciti stranieri trarrebbero seco di necessitá la devastazione e la rovina dell'Italia. Egli pensò nientemeno che a farsi riformatore della morale, vendicatore dei delitti e mantenitore della ortodossia nella religione". Questa è ben altra originalitá di concetto che quella delle visioni de' frati, prese tutte in un fascio.
La Rivista fa poco conto del libro del signor Cancellieri, perché davvero è d'indole tale da non se ne poter far gran conto. Il signor Cancellieri è uomo erudito assai; aveva bisogno di sfogar la sua erudizione: però ha fatto che il libro servisse ad essa, e non essa al libro. E la veritá è che egli lo termina senza terminar la quistione pigliata a trattare.
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