Bisogna dire che il prurito di far pompa d'erudizioni, quantunque non cadano a proposito, salti addosso talvolta con irresistibile ostinazione anche alla gente di giudizio; da che pare che anch'essa la Rivista d'Edimburgo in questo articolo medesimo se ne lasci vincere un pochetto. Ma le semplici erudizioni giá si sa che non costano molto; e gli uomini sono facili a scialacquare le sostanze acquistate senza sudori.
Ben piú lodevole parmi la maniera con cui la Rivista ci dá un quadro rapidissimo della condizione d'Italia da' tempi di Gregorio settimo fino a quelli di Dante, onde convincerci sempre piú dell'alto intendimento che resse i lavori del poeta. Troveranno i curiosi in quel quadro alcune idee, se non nuove, almeno nuovamente e fortemente sentite, sulle opinioni religiose d'allora, sul carattere di Gregorio, sulla politica di lui, sulla origine e su' primordi della libertá delle cittá d'Italia; libertá alla quale, in certo qual modo, contribuí l'ambizione stessa di quel pontefice.
Considerando attentamente la natura dei tempi di Dante, sbalza agli occhi chiarissima l'intima relazione che esisteva tra i bisogni dell'Italia d'allora e le savie lezioni morali e politiche date ad essa dal poeta. Questo modo di commentare la Divina commedia non tanto con una illustrazione pedisequa de' fatti, quanto con un esame storico-filosofico de' tempi, pare che sarebbe da eleggersi da chi imprendesse a fare una nuova edizione di essa. Ma per poterlo sostituire alla solita maniera di commentare, bisogna avere ingegno e cognizioni piú che non ne hanno d'ordinario que' che si piegano al poco glorioso mestiere di commentatori.
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