che a nutricar [se stesso] si die' di carni umane,
e di uman sangue il mento e il sen si tinse;
un padre, che porta sulle spalle il cadavere della propria figliuola a seppellire; una fossa scavata; un gemito che manda la terra; un cielo che piove "rossa linfa"; un cadavere smosso dalla sua sepoltura dall'acquazzone e lasciato a fior di terra "involuto di fetente limo"; un giovane soldato che corre, e sbadatamente viene ad urtare in quel cadavere, e s'accorge che preme co' suoi ginocchi il "fral meschino" della sua donna amata, in cui
di sanie infetto e nel luto prostrato,
passeggia il verme reo, la schifa erucae la striscia del serpe attossicato;
un pugnale; un assassinio; uno che muore (è l'amante) e, morendo, cade sul cadavere dell'amata e le afferra il "volto casto"
coi denti delle rabide mascelle;
uno spettro; un feretro; un rogo; e un fantasma in carne ed ossa, che, dopo d'aver narrati tutti codesti malanni al poeta, che sta attento ad udirlo, lascia cadere "le polpe al suolo e l'osse", e, "fatto nudo spirto", esclama - Sono Odoardo (il padre di Narcisa) - e sparisce: queste ed altre piú minute galanterie di tal fatta, raccolte insieme l'una sovra l'altra in poco spazio, formano un tutto che può davvero sembrare, come dicemmo, la caricatura poetica dell'orrore.
Ma perché attribuiremo noi a mala fede ciò che probabilmente è stato fatto con ingenuissima intenzione? D'altronde il romanzo del signor Tedaldi-Fores quantunque, secondo la umile nostra opinione, infelice pel concetto generale, per gli accidenti storici e per la condotta, ha nondimeno alcuni accessori lavorati con potenza poetica non comune, ha diverse terzine lodevolissime per evidenza di stile e per veritá di sentimenti; sicché sarebbe quasi temeritá il voler credere che una persona, capace di giovar molto alla propria fama ed alla patria, voglia ora sprecar tempo e carta e inchiostro in servizio della malignitá antiromantica.
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Odoardo Narcisa Tedaldi-Fores
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