Nel poema del secondo, ciň che occorre di piú bizzarro alla considerazione del filosofo, č la vita di Alessandro il grande, descritta con colori cavallereschi; č il vedere trasportati in essa sul serio i costumi, i sentimenti, i pregiudizi spagnuoli. Forse, come dice il signor Sismondi, l'ignoranza assoluta dell'antichitá fece ricorrere il poeta a ciň che gli era noto per descrivere ciň che gli era ignoto. E forse (č un dubbio nostro) Giovanni Lorenzo venne condotto a tale traviamento da un barlume indistinto di quella veritá psicologica, che insegna non potere essere sommamente efficace la poesia, se non č in accordo colle idee e colle circostanze de' tempi ne' quali vive il poeta. Giovanni Lorenzo non era abbastanza filosofo per potere interpretare saviamente questo impulso del vero genio poetico, non era abbastanza educato ai confronti storici per doversi sentire offendere dalla dissonanza tra due civilizzazioni, greca e spagnuola: e perň, secondando con inconsiderata obbedienza la necessitá d'essere moderno, condusse con accessorii ricavati dal mondo a lui presente un poema d'argomento non moderno, ma antico; e fece cosí un guazzabuglio, che accusa la contemporanea stupiditá della critica e muove a riso finanche la gravitá de' maestri di lettere.
Ma qui, se ci č lecita una digressione, vogliamo assumere gravitá anche noi, e rivolgerci proprio con un testo di Orazio a tal uno che ride del guazzabuglio di Giovanni Lorenzo.
E di che ridi tu? Cambiato che sia il nome, il discorso va a ferir te
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