Salvemini dichiarava:
«Non i soli comunisti, ma anche parecchi socialisti e repubblicani mi sembra nascondano nel fondo del loro cuore una viva simpatia per il sindacalismo fascista. Ciò che essi detestano in esso non è la mancanza di libertà, ma solo il fatto che la libertà vi sia confiscata a profitto del partito fascista anziché a profitto dei loro partiti. Se si mettessero al posto dei ventimila segretari fascisti ventimila segretari comunisti, socialisti o repubblicani, il sindacalismo fascista diventerebbe sacro e inviolabile. Beninteso per il solo partito che riuscisse a controllarlo».
Se si pensa che i sindacati dell'U.R.S.S. non sono che delle corporazioni statali, ossia organi di controllo politico per eccellenza; che il partito repubblicano ha incluso l'idea di sindacato unico tra i suoi principali punti programmatici; che in seno alla socialdemocrazia vi è un'aperta simpatia per l'economia organizzata alla Roosevelt, si è costretti a rimanere diffidenti di fronte al diluvio di esecrazioni del corporativismo fascista.
Significativo, a questo riguardo, è il modo in cui impostava il problema sindacale Alceste De Ambris, nei Problemi della rivoluzione italiana del settembre 1931:
«Il sindacato operaio sarà libero o vincolato? Il fascismo ha imposto un'organizzazione corporativa. La rifiutiamo in blocco? Si crede che sia possibile di ritornare puramente e semplicemente allo statu quo ante, o ammettiamo che di quell'organizzazione si possa utilizzare qualche elemento? Ma in tal caso, come armonizzeremo i doveri del lavoratore sindacato con i diritti dell'uomo libero?
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