Durante la settimana Rossa i centri industriali si mantennero fermi. Durante l'agitazione interventista, i centri industriali furono al disotto delle campagne nelle manifestazioni antiguerresche. Durante le agitazioni del dopoguerra i centri industriali furono i più lenti a rispondere. Contro il fascismo nessun centro industriale insorse come Parma, come Firenze e come Ancona, e la massa operaia non ha dato alcun episodio collettivo di tenacia e di spirito di sacrificio che eguagli quello di Molinella.
Gli scioperi agrari del Modenese e del Parmense rimangono, nella storia della guerra di classe italiana, le sole pagine epiche. E le figure più generose di organizzatori operai le hanno date le Puglie. Ma tutto questo è misconosciuto. Si scrive e si parla dell'occupazione delle fabbriche, e quella delle terre, ben più grandiosa come importanza, è quasi dimenticata. Si esalta il proletariato industriale, mentre ognuno di noi, se ha vissuto e lottato nelle regioni eminentemente agricole, sa che le campagne hanno sempre alimentato le agitazioni politiche d'avanguardia delle città e hanno sempre dato prova, nel campo sindacale in ispecie, di generosa combattività.
Facile previsione: vi sarà un mandarino che scriverà che non ho un'«anima proletaria» e vi saranno dei lettori che capiranno che ho inteso svalorizzare il proletariato.
Per me risponde un'eco: quella dei calorosi applausi che salutano nei cantieri e nelle officine dell'industria di guerra l'annuncio del sottomarino da costruire o dei cannoni da fondere.
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