Ma egli sapeva che tra i carabinieri e tra le guardie regie vi erano dei poveri diavoli spinti dal bisogno, mancanti di educazione politica, ma non peggiori d'animo della media degli uomini. Alle Assise di Milano, quando, letta la sentenza che lo assolveva, Malatesta si ritirava fra i carabinieri, uno di essi gli si fece innanzi commosso e dicendogli: «Mi permette di abbracciarlo?» gli buttò le braccia al collo. Quale uomo respingerebbe un tale gesto vedendo soltanto la divisa e la funzione e non il cuore turbato e aperto, sia pure per un momento, a un ideale di libertà e di giustizia?
Malatesta è stato sempre profondamente umano, anche verso i poliziotti che lo sorvegliavano. Una notte fredda e piovosa, in Ancona, egli sapeva che un questurino era lì alla porta, a inzupparsi e a battere i denti per adempiere il proprio compito. Andare a letto compiacendosi di sapere il segugio nelle peste sarebbe stato naturale, ma non per Malatesta, che scese alla porta a invitare il questurino a scaldarsi un po' e a bere un caffè.
Passarono gli anni, tanti anni. Una mattina, in piazza della Signoria, a Firenze, Malatesta riceve un «buon giorno, signor Errico» da un vecchio spazzino municipale. Dotato di una memoria ferrea sia delle fisionomie come dei nomi, Malatesta è stupito di non riconoscere quel tizio. Gli domanda chi sia e quegli gli dice: «Sono passati tanti anni. Si ricorda quella notte che io ero alla sua porta...». Era quel questurino, che serbava in cuore il ricordo di quella gentilezza come si conserva tra le pagine di un libro il fiore colto in un giorno soleggiato dalla gioia di vivere.
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