Perfino gli imperatori e i re, dalla culla al trono e da questo alla tomba circondati da lusinghe e da genuflessioni, quindi condotti a considerarsi come dei numi, presentano, pazzi, criminali e fannulloni esclusi, qualche lato pregevole e simpatico. Francesco Giuseppe, epilettoide, presuntuoso, violento, caparbio, arido e duro aveva molto sviluppato il senso del dovere, che era per lui quello di fare sul serio l'imperatore. Malato di polmonite andò alla stazione in attesa dell'arrivo di un arciduca russo perché, essendo il tempo in cui tra Vienna e Pietroburgo esisteva una certa tensione di rapporti, temeva che la sua assenza fosse malamente interpretata. Vecchio e malato, continuò fino alla morte, nonostante le insonnie e le febbri altissime, ad alzarsi alle cinque del mattino per mettersi a tavolino, rimanendovi tutto il giorno, nonostante i consigli e le preghiere dei suoi familiari. La sera del suo ultimo giorno, il suo aiutante di campo, vedendo che egli non riusciva più a sollevare la destra e a portarla verso il calamaio, l'obbligò a coricarsi. Il vegliardo protestava: «Ho ancora da fare, ho ancora da lavorare». E spirò nella notte.
In una società bene organizzata Francesco Giuseppe invece di fare il Kaiser impiccatore sarebbe stato un impiegato modello. In una società quale noi la vorremmo, Massimiliano d'Austria invece che andare a conquistare il Messico avrebbe fatto l'esploratore, lui che aveva la stoffa del viaggiatore poeta e non affatto quella del soggiogatore di popoli.
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