Nei greci l'epurazione della bellezza falsò lievemente la natura della Venere non abbastanza madre per essere davvero donna: in noi moderni un falso sentimento della bellezza snaturò nel costume e nella figura la donna e la madre. Ma nel suo corpo, che verginità e maternità non possono alterare, tutto è essenzialmente femminile; pare costrutto per rimanere seduto con un bambino sul ventre, le mammelle sospese sulla sua piccola bocca, così enorme è lo sviluppo delle anche, del grembo, più enorme ancora il resto».
La differenza tra i due sessi implica per l'uno e per l'altro una particolare maniera di amare. Per il maschio il rapporto sessuale è un fugace momento, un atto che non lascia tracce. Per la donna l'amore vale maternità, cioè l'amore che modifica profondamente il suo organismo e vi si inviscera.
La vita sessuale è, nella donna, qualche cosa di intrinseco a tutto il suo organismo. Fin da fanciulla soffre quella malattia mensile che è il mestruo. Impiega nove mesi a partorire, e nausee, dolori, paralisi, follia aggravano spesso il peso della gravidanza. Lo strazio del parto può ucciderla, può renderla invalida alla maternità, può farla impazzire. Si aggiungano i vari mesi di allattamento.
Solo la donna può chiamare la propria creatura «viscere mie».
Lo Schopenhauer osserva, che l'uomo può con tutta facilità fecondare cento donne in un anno, mentre la donna, quand'anche avesse cento mariti od amanti, non potrebbe mettere al mondo, se non un bambino all'anno. Questa diversità sta ad indicare che il maschio ha una funzione meno complessa nel perpetuarsi della specie.
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Venere Schopenhauer
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