Io ti perdono, ma non posso sopravvivere alla perdita del tuo amore»; e si uccide. Un'altra, anch'essa abbandonata, lascia, prima di uccidersi, una lettera, nella quale, accennando all'amante, scrive: «senza la metà di me stessa, senza colui che ho perduto, la vita mi è insopportabile. Mi ero decisa a gettarmi ai suoi piedi, ma egli mi avrebbe respinta! Che egli mi perdoni il mio carattere ingiusto, le mie violenze»!. Una ragazza abbandonata, prima di uccidersi in una casa poco lontana da quella dell'amante, gli scriveva: «Io muoio vicino a te. Ti mando mille baci prima di morire. T'amo ancora, e i miei ultimi pensieri sono per te». Un'altra suicida: «Addio, sii felice. Che il mio ricordo ti accompagni, per ricordarti che ti ho adorato. Avevo sognato di essere teco felice, tu non l'hai voluto, tu mi hai ingannata: le tue menzogne sono state mortali per me. Avrei voluto vivere per amarti: tu non hai voluto; muoio adorandoti. Ti lascio i miei capelli, che tu serberai, ricordandoti di me». Un'altra fanciulla, suicida perchè abbandonata, scrive ad una sua amica: «Assicuralo che fo voti per la sua felicità». E potrei continuare per un pezzo a spigolare brani analoghi e tutti ugualmente luminosi, tra le lacrime e il sangue, della stessa bontà. Nietzsche, di fronte a queste lettere, direbbe che esse provano che la morale della donna è «la morale degli schiavi», ma non capirebbe, che la donna è madre anche nell'amore, quando ama veramente.
Queste fanciulle suicide fanno ricordare la leggenda di quel cuore di madre, che strappato dal petto dal figlio snaturato, domandava all'assassino caduto nella fuga: «Figlio mio, ti sei fatto male?
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Nietzsche
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