Veramente ci fa maraviglia che una lingua e una poesia, come la vostra, che tanto abbonda di termini propri, espressivi, sonori, che ha sì gran libertà e varietà di costruzione, tanta dovizia di modi e di frasi, onde ha fatto raccolta ampissima, più che altro idioma, da’ greci, latini, iberi, galli, e perfino da’ teutoni, e con ciò sì mirabile facilità di far versi, pur nondimeno sì poco riesca a far de’ poeti. Forse che il clima è cangiato, che le generazioni degli uomini sono deteriorate, che le lettere son decadute? Certo è che da gran tempo in qua non è comparso tra i morti alcun poeta veramente sublime, un Omero, un Orazio, un Properzio italiano, benché poemi e canzoni e sonetti a migliaia siano usciti in Italia senza fin senza termine e senza misura, dal Tasso e dal Chiabrera in qua. Alcun di noi, ciò ripensando, ha creduto che la troppa facilità appunto di verseggiare, altri, che la moltitudine de’ poeti e delle academie che ascolto incontrarsi persin ne’ villaggi, altri, che la cieca imitazione de’ vostri antichi, ed altri, che altre cagioni producano questa sterilità. Io penso che da tutte derivi, e principalmente dalla falsa idea che della poesia fannosi gl’italiani, mal prendendo i suoi vecchi maestri ad imitare come esemplari eccellenti in tutto e perfetti. Hanno degli Enni e de’ Pacuvi, che, non discernendo, adorano ancora con una cieca superstizione ed a peccato terrebbono il sol sospettare in essi d’imperfezione. Da essi imparano una poesia di parole, e prendono i modi più inopportuni e più aspri alla poesia dilettevole e illustre, quasi bellezze consacrate dal tempo e dai servili adoratori.
| |
Omero Orazio Properzio Italia Tasso Chiabrera Enni Pacuvi
|