Io voglio parlarvi di questo inganno alquanto posatamente. Ciò credo esser permesso a Virgilio senza pericolo, dopo morte, ed in luogo ove l’invidia non può. L’amor della patria e della poesia, che mi segue ancora tra l’ombre, è quel sol che mi spira, e, se da un morto la verità non udite, da chi la sperate oggimai? Qui non giunge l’adulazione o la gloria de’ titoli, né privilegio o mercede o diploma vi chieggo. Voi sedete legislatori e giudici in un tribunale supremo di poesia; voi mandate colonie poetiche in ogni terra italiana; voi date poetica cittadinanza perfino ai re dell’Europa e alle nazioni straniere; e in ciò sembrate antichi romani; dee dunque piacervi il mio zelo. Che se alcuno se ne dorrà e leverà la voce contro di me, ricordisi almeno che parla a un morto.
LETTERA SECONDA - AGLI ARCADI
Un’anima, delle più temerarie(1) che mai poeta o verseggiatore ispirasse, scese l’altr’ieri tra noi. Superba d’avere animato un corpo napoletano e d’aver professate ad un tempo l’arte poetica e la militare, pretendeva le prime sedie tra i capitani, e tra i poeti. La derisero, com’era giusto, e gli uni e gli altri. Ma noi, che per indole siamo più pazienti, e per professione più mansueti, l’invitammo a sedere con noi sull’erba, e farci udire que’ sì bei versi ch’ella vantava. Ma, guardandoci bieco, rispose non esser noi degni di tal poesia, che tutta era dantesca, né degni di star con Dante, il sol poeta veramente divino, anzi il dio de’ poeti. Così dicendo, volse a tutti le spalle, e andò chiamando per mezzo la selva Achille a duello, ed Alessandro.
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