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      Mi calmò alquanto il poeta, leggendo de’ suoi bei versi e chiari abbastanza in mia lode, e vedendo in quei ricordato il mio poema siccome letto lungamente e studiato da lui. Ma ben tosto la noia mi prese al seguir la lettura. Perché, dunque, diceva io, perché ha fatto Dante un poema dell’Inferno, del Purgatorio, e del Paradiso, se tanto ha letta l’Eneide? Io certo non gli ho insegnato a cominciar con un sogno, una lupa e un lione, o con dividere in parti tra lor ripugnanti e lontane un poema. Il viaggio d’Enea, che pur ebbe cotanto sotto degli occhi, è ben diverso dal suo pellegrinaggio in quelle parti sì strane. Ha forse da me imparato a far venire Beatrice a cercarmi, Beatrice la qual era stata chiamata da Lucia, da Lucia che sedea non so dove con l’antica Rachele, e tali ciance da nulla? Che potea saper io di Can della Scala, né del vas d’elezione, che egli t’accoppia con Enea, né di cento siffatte cose? Quanto più si leggeva, tanto meno se n’intendeva, benché ad ogni parola fosse un richiamo, e ad ogni richiamo un comento più oscuro del testo, ma pur così lungo, che il tomo era in foglio. Oh un poema in foglio, e bisognoso ad ogni verso di traduzione, di spiegazione, d’allegoria, di calepino è un poema ben raro, diceva Orazio, se egli è vero che la poesia debba recare utilità insieme e diletto. Lucrezio stesso sbadigliava, i greci lo nauseavano, alcun non vedea di che si parlasse, e rideva tra tutti Ovidio, dicendo esser quello un caos di confusione maggiore che il descritto da lui.


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Lettere Virgiliane - Lettere Inglesi e Mia Vita Letteraria
di Saverio Bettinelli
1758 pagine 205

   





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