Rileggete con questa riflessione quell’imbroglio non definibile, e poi mi direte che ve ne sembri.
E questo è un poema, un esemplare, un’opera divina? Poema tessuto di prediche, di dialoghi, di quistioni, poema senza azioni o con azioni soltanto di cadute, di passaggi, di salite, di andate e di ritorni, e tanto peggio quanto più avanti ne gite? Quattordici mille versi di tai sermoni, chi può leggerli senza svenir d’affanno o di sonno? Quale idea debbono aver della poesia que’ giovani che si vedono a par d’Omero e degli altri maestri lodar Dante, tanto da quelli diverso? Intendono dire da tutti che un poema vuol essere disegnato ed ordito con parti proporzionate tra loro e tendenti al bello generale del corpo tutto; che dev’essere l’azione una e grande, a cui tutte l’altre abbian termine, interrotta ma non spezzata, sempre crescente e più ricca di bellezza, di forza, di passione, d’impegno, quanto più avanza, e cento altre cose, che trovano appunto in que’ greci e latini, che lor si danno a meditare; qual dunque travolgimento d’idee non si fa lor nel capo, al leggere e studiare la divina comedia dell’inferno, del purgatorio e del paradiso? Pur nondimeno tutto perdonasi, quando trionfi la poesia dello stile. Lo stile elegante, chiaro, armonico, sostenuto, questo è ciò che ricopre ogni altra iniquità d’un poeta, poiché lo stile è quel, poi, finalmente, che fa un poeta. Le imagini dello stile debbono pur essere ben colorite e nobili, e con grazia e venustà contorniate, i pensieri giusti, verisimili, nuovi, profondi, le parole usate e intese, proprie, scelte, le rime facili e naturali, il suono e la melodia quasi cantante, e così dite del resto.
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