Quei si tengono a mente, quelli si recitano e divengono una ricchezza della nazione. Il tempo la consacra, e si crede, mercé di quelli, più bello assai che non è tutto il resto. Gl’imitatori, sempre inferiori al lor modello, ne crescono il pregio. Gl’inerti e pedanteschi letterati vi fanno la glosa, si citano le sentenze dai freddi morali, le strane parole si registrano ne’ vocabolari, e tanti infin partigiani e stimatori col tempo vanno moltiplicando, che hai contro di te un popolo immenso, a voler censurare il gran poeta. Perché, dimmi, ti prego, quanti sono, in una intera nazione, che possono giudicare, per intimo senso e per anima armonica, del poetar generoso? Dieci o dodici al più; e la metà di questi nacque nelle campagne, o in condizione servile, onde si portano nel sepolcro un talento senza aver sospettato giammai di possederlo. Eccoti come Dante ha trionfato e ancor regna. Qualche vera bellezza del suo poema, e un gregge infinito di settatori ha fatto il suo culto e la sua divinità. E, in vero, chi può resistere, per esempio, all’evidenza di que’ bei versi?
E come quei che con lena affannatauscito fuor del pelago alla riva,
si volge all’acqua perigliosa, e guata... .
Chi la mollezza e il fresco non sente di quegli altri?
Quale i fioretti dal notturno gelochinati e chiusi, poiché il sol gl’imbianca,
si drizzan tutti aperti in loro stelo... .
Il maestoso e il terribile, come nol vede in quell’entrata d’Inferno?
Per me si va nella città dolente,
per me si va nell’eterno dolore,
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Dante Inferno
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