A’ nostri giorni non si sapea filosofar tanto con l’idee né con gli affetti amorosi, e dipignevamo per ordinario gli oggetti sensibili, o fossimo più materiali per inclinazione, o non avessimo dalla natura sortita un’anima sì passionata o un cuor sì gentile. Ma, dopo aver fatta qualche sperienza di quello stile e di quella maniera, un incredibil piacere sentiron tutti, e tanto più vivo, che il più intimo senso movea dell’anima e degli affetti. Quanto più innanzi leggea, più sentivano greci e latini una certa dolcezza patetica e lusinghiera di stile, di armonia, di teneri movimenti, che ne mettea l’anima in un’estasi soavissima. I trasporti improvvisi tratto tratto rapivanci fuor di noi. Nuovi pensieri, immagini dilicate e vivaci ne facevan talvolta sclamar per diletto e per maraviglia. Tutti d’accordo dicevano non aver mai sì vivamente sentito quell’incanto e quel fascino di una secreta delizia, che è proprio della poesia, come in questo poeta. Molti di loro, ma principalmente Ovidio ed Orazio, stavano attoniti, e quasi pareano vergognarsi d’aver mal conosciuta una passione così gentile, e d’averla dipinta con tratti sì grossolani e plebei potendo con essa nobilitare di tanto la lor poesia con la lor fama. Io per me compiacevami tacitamente di partecipare di questa laude con esso lui per quella onesta superbia onde non seppi avvilire il mio canto con le turpitudini tanto comuni a’ miei coetanei, che cantarono le stesse passioni e non seppero rispettare il linguaggio degli Dei.
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Ovidio Orazio
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