Qualunque vicenda alle lettere e ai versi possa sopravvenire, l’opere nostre saranno scuola ai posteri tutti di buon costume, ad onta degl’invidiosi che m’hanno attribuite cose indegne di me ed hanno malignamente interpretato il Petrarca.
Ma(2) non so come a poco a poco cominciammo a sentire non so qual piccola sazietà, che sempre andò raffreddando gli animi degli uditori e creando lor finalmente fastidio. Tutto era parlare e pensare e cantare di quella madonna Laura; e le rose e le perle, e i crin d’oro, e un pensier che dicea, e un pensiero che rispondea, e de’ pensieri che ragionavano insieme, una visione, un sogno, un deliquio d’amore, e le frasi e le immagini d’un colore medesimo anch’esse, e sonetti senza fine e canzoni senza modo, ci venivano sempre davanti. Qualche sollievo aspettavasi dall’amabile varietà, quel condimento sì necessario agli stessi piaceri, de’ quadri di storia e di favola, o di battaglie, o di tempeste di mare, o di spettacoli sontuosi, del chiaroscuro in somma e del contrasto. Ma indarno. Tutta la galleria non offriva se non se quadretti e miniature di chiare fresche e dolci acque, di rapidi fiumi d’alpestre vena discesi, di verdi panni sanguigni oscuri e persi, di rose fresche e còlte in paradiso, di colli, di poggi, di rive, erbe, ombre, antri, aure e che so io, tutto a finissime tinte, tutto lucente e grazioso, ma tutto rassomigliante. Ci parve, alla fine, un corso di metafisica amorosa scritto in bellissimi versi ed avvivato di belle immagini. Talor ci vennero sotto all’occhio sestine e ballate, che ci noiarono mortalmente, oscure, aspre, insipide; qualche canzone misteriosa, tutta allegorica, tutta divina pei comentatori, ma niente per noi poetica.
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Petrarca Laura
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