Pagina (25/205)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      I sonetti medesimi cominciavano per lo più con un quadernetto che ci levava in alto con l’anima ed abbassavaci poi sinché nel fine ci stramazzava per terra. Alcune poche canzoni trovammo invero, che d’amor non parlavano, ma che meglio avrian fatto di pur anch’esse parlarne, tanto parvero insulse o fredde o intralciate. Sopravvennero appresso, poiché mi posi a lasciar molte pagine addietro per non insvenire, alcuni capitoli in terza rima, e Dante in essi parea proprio risuscitato, e, se non era quel veramente divino, che incomincia «La notte che seguì l’orribil caso», noi fuggivamo sicuramente, per orror di trovarci un’altra volta impegnati nell’Inferno, o nel Purgatorio, o nel Paradiso. Perdoniam pure al Petrarca d’aver impiegate migliaia di versi e più di trent’anni e un cuor sensibile e delicato, un’anima generosa e inventrice, in lodare e compiangere una donna; ma noi, che non la conosciamo né per lei sentiamo altro affetto che l’ispiratoci da’ suoi versi, noi proviamo gran pena a seguirlo senza stanchezza per tanto tempo. Nulla è più dolce, ma nulla è più pronto a stancar dell’affetto. Or qual poesia sarà quella che canta sul tuono medesimo e sulla stessa corda sempre trascorre, come Orazio diceva, con una filosofia ed anzi teologia d’amor sottilissimo, innanzi ad un uditore indifferente e ad un lettore freddo e sdegnoso?
      — Ed è possibile — sclamò Tibullo con dolore — che un sì gentile ed affettuoso poeta voglia ancor esso recar più tedio che non diletto, e voglia non esser inteso dalle tre parti della sua stessa nazione, e quindi cader nelle mani degl’implacabili comentatori?


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Lettere Virgiliane - Lettere Inglesi e Mia Vita Letteraria
di Saverio Bettinelli
1758 pagine 205

   





Dante Inferno Purgatorio Paradiso Petrarca Orazio Tibullo