Per ogni parte sbucavano petrarchisti, ch’era un diluvio. Pensate qual fosse il nostro spavento in mezzo a così fatta persecuzione, che parea proprio l’Inferno tutto scappato dai ceppi di Plutone. Qual consiglio potea prendersi per non irritare quel troppo irritabil genere di poeti, maschi e femmine? In mente ne venne di distribuirci la briga, e di prendere ciascuno di noi qualche libro di que’ poeti a leggere e ad esaminare. Greci e latini furon tosto occupati, quanti ve n’erano, intorno ad un libro di rime, ad un canzoniere, ad un volume di poesie, e vi fu alcuno di noi meschini, che si trovò un tomo in foglio tra mano, tutto d’amor petrarchesco.
Leggevam tutti attentamente, né molto andò che qua e là già miravasi sul volto de’ leggitori cert’aria di maraviglia, e a quando a quando degl’indizi di noia e di sazietà. Fu il primo Catullo, che, per natura insofferente e nimico di lunga applicazione, gittò da sé il libro, e:
— Questo, — disse, — questo è pur il Petrarca, il suo stile, il suo metro, il suo amor, la sua Laura, infin lui stesso sotto nome d’un altro.—
— Il mio pur, — dissero tosto molti d’accordo, — il mio poeta non altri egli è che il Petrarca.—
— Qui v’ha qualche inganno, — soggiunser altri, — perché già non può darsi tanta sciocchezza in un uom ragionevole, che pretenda avere fama di buon poeta copiando un altro, o che tanto sfrontato pur sia, che per l’opera sua pubblichi l’altrui fatica veggendolo ognuno. — Allor cominciarono a leggere or l’uno or l’altro de’ canzonieri toccati loro a sorte, e, in verità, non distinguevansi dal Petrarca, fuor solamente in quel languore e in quella insulsaggine che nel linguaggio esser suole d’una finta ed imitata passione rimpetto a quel veemente e caldo sfogo d’un cuor acceso per viva fiamma.
| |
Inferno Plutone Catullo Petrarca Laura Petrarca Petrarca
|