Bello invero stato sarebbe, se, uscita di mano a Prassitele la Venere sua, tutti i greci scultori non avessero più lavorato se non che statue di Venere, e della Venere sola Marina fatti modelli. Ma lo stimolo della gloria, ma l’emulazione, ma il desiderio della novità, ma il genio per essa di farsi un nome famoso, che in tutti gli uomini è sì naturale, ma nemmen la vergogna di parere servili imitatori, niente non ha potuto ne’ soli italiani?
— Calunnie, — gridò un’ombra, che stava in disparte fra i cinquecentisti, ascoltando i nostri ragionamenti. — Il Casa, il Costanzo, il Bembo, non sono essi classici, ed originali? Leggete questi, e dite se sono imitatori.
Si lessero ad alta voce, e, quantunque avessero qualche nuova maniera non tutta al Petrarca rubata, parvero nondimeno assai petrarcheschi nella sostanza. Il Casa, per non so quale asprezza e violenza posta ne’ versi suoi, parve alquanto acquistare di forza e di gravità, nel Costanzo trovavasi una certa disprezzatura, che semplice e graziosa parea, benché piuttosto vicina alla prosa e all’argomentazione apparisse che all’ottima poesia. Nel primo un po’ troppo sentivasi la fatica e lo studio, nel secondo un po’ troppo poco. Avean tentato un sentiero solitario, ma nella via del Petrarca; lui per padre legittimo riconoscevano, all’argomento, ai metri, ai modi ed allo stile fondamentale, ed essi stessi prodotto aveano de’ copiatori. Quanto al Bembo ciascun giurava di non veder altro che la fiacchezza dell’imitazione, onde distinguerlo dal Petrarca, benché gran lode si meritasse con tutti gli altri per lo studio della sua lingua, e per la purità dello stile, che è la base d’ogni vera eloquenza oratoria non men che poetica.
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