Voi Arcadi abbiatelo a mente, e state sani.
LETTERA SETTIMA - AGLI ARCADI
Non cessavan gli antichi di maravigliare lo strano genio d’Italia verso l’imitazione. Avevano udito dire che questa gente, per ingegno, per vivida fantasia e per naturale mordacità, molto inclinava al mimico, e di ciò n’erano certe pruove i suoi predicatori in gran numero, la quantità de’ saltambanchi e ciurmadori, i teatri comici d’ogni città, e insino all’indole generale della nazione, che, al passo, al gesto, al ragionare ordinario, sembra più teatrale ed animata dell’altre. Ma che questo genio dovesse nell’opere dell’ingegno trasfondersi, ciò non s’intendeva, e parve a tutti miracolo, che, contro l’uso di tutti gli uomini e di tutte le genti, avessero gl’italiani per cento anni e cento perseverato sempre cantando sul tuono istesso, e sul modello d’un solo, senza stancarsi.
Ragunatosi dunque il consesso de’ greci e de’ latini maestri secondo l’uso, e questo argomento di nuovo trattandosi, alzò la voce Luciano, e disse:
— Ma che direste poi, se non solo al Petrarca nel lirico, ma in tutte l’arti e le scienze e in tutti i generi di poesia li vedeste ad alcuno giurare la stessa fede e superstizione? Io, che studio gli umani costumi curiosamente, ho voluto assicurarmi di questo prodigio, e in tutto il resto gli ho ritrovati quali a voi sembrano nel petrarchesco. Lascio a parte la filosofia e le più alte scienze, poiché in queste non sono stati essi soli, per molti secoli, superstiziosi ed ostinati seguaci dell’autorità d’un maestro, ma ristringomi al solo poetare.
| |
Arcadi Italia Luciano Petrarca
|