Intitolate le voller tutte Nuova edizione di messer Francesco Petrarca. Quindi trattine alcuni sonetti, o interi, ciò che fu di sol dieci, o troncati, e poche stanze di canzoni, del resto fecesi un fascio, il qual fu riposto in parte rimota, serbandolo per un tempo in cui la lingua italiana, guasta e corrotta da genti straniere, bisogno avesse d’una piena inondante d’acque limpide e pure, quantunque insipide, a ripurgarsi. Fu finalmente deciso bastar per tutti il Petrarca, ancorché ridotto da noi a più discreta misura; per l’uso comune e il diletto della nazione, questo doversi leggere, ed istudiare, secondo il bisogno: e così non verrebbe o ingiustamente posposto ad autori seguaci suoi, o nauseato da molti per tanto moltiplicarsi delle sue rime in tanti minori di lui.
— Convien, — diss’io allora per isfogo di zelo — convien ben convincervi, o miei italiani, che non è poeta chi fa de’ versi soltanto, e che la sola imitazione mai fece un poeta. Intendete pur una volta quel saggio detto dell’amico Orazio, che né gli uomini né gli dei, né le stesse colonne ove affiggonsi l’opere e i nomi de’ nuovi autori, fan perdonare ai poeti la mediocrità. Persuadetevi che differenza è grandissima fra un uomo formato dalla natura alla poesia e un uom formatovi dal suo studio. Il Petrarca fu originale, nato da sé senza esempio e senza guida. Come tutti pretendono adunque imitarlo, s’egli non ha imitato veruno? Perché farne comenti, precetti, poetiche petrarchesche, quasi fosse una macchina di cui basti sciogliere i pezzi, misurarne le parti, e farne altre tali per comporne una pari in bellezza?
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