Erminia si lasci, in grazia della poesia. Le piante animate, la mescolanza del sacro e del profano, han bisogno d’emenda. Riducasi dunque a metà tutto il poema e correggasi molto lo stile. Ma non si tocchi l’Aminta. Gli si perdonino i suoi difetti per non guastar sì bell’opera ponendovi mano. Roma ed Atene vorrebbero averne una pari. Il Pastorfido, ridotto ad onestà e misura, serva siccome una bella copia ad onor dell’originale. Ma sia questa copia la sola.
Tutta l’Eneida d’Annibal Caro viva ancor essa, per lo stile poetico veramente e franco. Sia lettura de’ giovani principalmente. Si notino insieme le infedeltà della traduzione con giusta critica. Qualche sonetto di lui si legga, e la canzona de’ gigli d’oro conservisi per monumento del furor de’ comenti e delle discordie letterarie d’Italia. La traduzione di Lucrezio, quella di Stazio e quella delle Metamorfosi non si concedano fuor che a’ maturi poeti, e quest’ultima sia ridotta per ordin d’Ovidio a un terzo, com’egli ha fatto dell’originale.
Il Chiabrera ristringasi in un solo volume, e sia piccolo. Nessun sonetto di lui v’abbia luogo, nessun poema, e i modi greci delle canzoni, che sono a forza italiani, mettansi in libertà.
Alamanni e Rucellai formino la georgica dell’italiani colla Riseide dello Spolverini, e poc’altro.
Dell’Adone si spremano quattro o sei canti, che ragionevoli siano, e castigati. Se tuttavia pecchino di fumosità, s’adacquino con un poco d’Italia liberata del Trissino.
Il Malmantile, e tutte le poesie composte di riboboli e d’idiotismi fiorentini, di pure frasi toscane, siano date a’ fanciulli e a gente oziosa, da divertirla come si fa con le bolle alzate soffiando nell’acqua intinta di sapone.
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