I francesi e i tedeschi hanno de’ gran pregiudizi, ma non così incomodi come quelli degli italiani. In Francia la letteratura è frivola, ma diverte; la varietà stessa di tante stampe, che nascono e muoiono il dì medesimo a Parigi, fa un divertimento; e sopra tutto la critica v’ha un’aria di civiltà, o almeno di scherzo, che vi solleva da qualche noia. Quell’esservi un centro di tutto il regno, dove fan capo tutti i capricci e gl’ingegni della nazione, presenta un mercato universale, dove ognuno può scegliere, e forma un sistema riunito e raccolto di pensare, per cui sapete, presso a poco, il giudizio dei più e dei migliori; ma in Italia ogni provincia ha un parnaso, uno stile, un gusto, e secondo il genio del clima un partito, una lega, un giudizio separato dall’altre. Napoli, Roma, Firenze, Venezia, Bologna, Milano, Torino e Genova, son tante capitali di tante letterature. Un autore approvato in una è biasimato nell’altra; e il più grand’uomo, l’oracolo, di questa provincia, appena si nomina in quella. A Palermo, a Padova, a Pisa, a Lucca, a Verona, a Brescia, ho trovato principii diversi, diverse maniere di pensare, studi diversi. Dove domina la giurisprudenza, dove l’antiquaria, qui il latino, là il volgare, le belle lettere in un luogo, le matematiche nell’altro, chi esalta unicamente il Zappi, il Chiabrera e Guidi e Lorenzini, chi non vuol altro che Dante e Petrarca, chi pregia sol Metastasio, chi stima solo Gravina, chi vuol commedie, chi pretende tragedie. Ciascuno di questi gusti è l’ottimo e l’unico e vero di quella città dove esso regna, la qual disprezza e deride la sua vicina e tutte le altre con tutti i lor gusti.
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