Vedea le persone più amabili andar a gara per rapirmi, e beata quella che mi dava la cena, quella che mi teneva in carrozza, o al passeggio delle Tuglierìe. Gli uomini più brillanti si guardavano bene di venir al confronto, e, se si trovavan con noi per necessità, bello era il vedergli stare attenti ai nostri modi, ai nostri cenni, per ricopiargli, studiare il nostro andamento, prendere il nostro tuono, insomma farsi inglesi per essere alla moda. Chi non avea fatto un giro in Inghilterra era negletto, si divoravano i nostri libri, e se ne studiava la lingua, si traducevano, si stampavano tutti, anche i cattivi, e n’era sicuro lo spaccio e il guadagno, e tutti abbiuravan la patria per un fanatico inglesismo. Io vi confesso che mi piaceva molto questa moda, perché mi dava un vantaggio e mi procurava delle fortune, ed anche in Italia l’ho trovata con grande piacere, dopo che la riceveste di Francia, secondo il solito.
Ma non per questo non mi sono accecato a credere la mia nazione così perfetta e degna d’essere il vero modello delle altre, come queste me lo volevano persuadere. Sicché sono in istato di farvene il carattere, senza prevenzione e senza illusione. Sono stato grand’uomo qualche anno presso al pubblico invaso e ubbriaco dalla moda, ma con un amico qual voi mi siete parlerò in confidenza, di me e della mia nazione, spogliandomi dell’eroismo imprestatomi sul teatro, e comparendovi nell’abito mio privato. Non v’è alcun eroe in presenza del suo cameriere, dice il proverbio, e non ve n’è, dico io, dinanzi a un amico.
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