Nel mio cuore, a dire il vero, potevano assai i Bossuet, i Fenelon, gli Addisson, i Davenant, i Pope; e Montesquieu e Lok facean presso di me l’apologia per tutti i letterati. Ma quando vidi in Italia, da una parte, esservi niente meno vizi e sciocchezze letterarie, anzi regnarvi più che altrove l’insolenza, la villania, la venalità, la bassezza d’animo e soprattutto l’invidia tra gli autori, e, dall’altra parte, vidi sì pochi libri veramente utili agli uomini ed ai costumi, e che que’ libri medesimi, che debbono essere pei loro argomenti libri santi non che utili, divengono, per colpa degli autori, nocivi e scandalosi per quello spirito di controversia, di lite rabbiosa e di discordia onde son pieni, allora non ho potuto negare a Rousseau tutto il mio consentimento. M’immagino che Rousseau vegga un catalogo de’ libri che stampansi dentro un anno a Venezia soltanto, ove si stampano, per altro, comunemente i migliori, ed ove fan capo i più degli autori per la facilità della stampa. Lascio Roma e Firenze, ove per ordinario i libri sono d’erudizione, d’antichità, di qualche medaglia o inscrizione, che per me sono cose inutili, come la mitologia. Quale opinione avrebbe dunque Rousseau de’ vostri studi e del bene che arrecano al genere umano? Io feci una volta il compendio di tutta quella faragine che i torchi veneti mandan fuori dentro il corso d’alcuni mesi, e v’assicuro che, se gl’italiani fosser capaci di disinganno, questo solo bastar dovrebbe ad aprir gli occhi alla vostra nazione.
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