In più di cento opere differenti, non trovai altro che un tomo della storia de’ viaggi tradotto, il qual meritasse almen pel titolo qualche considerazione. Eppure questo ancora era inutile e magro non poco. Perché quest’opera, se fu bella nell’idea dell’autore, è divenuta in fatto meschina, e, se non fosse lo stile dell’abate Prevòt(32) che ha supplito all’originale, io credo che più non si parlerebbe di lei. Del resto, chi può dir quanti romanzi, dei quali i men rei erano noiosi ed insipidi, quante commedie, quante critiche, quante risposte, repliche e controrepliche in ogni materia? Nulla dirò delle poesie, nulla delle rettoriche e dei quaresimali, i quali sol nella forma e nella correzion della stampa fan sospettare dell’autore e del suo credito e della sua eloquenza stranamente. Quante, poi, morali teologie senza una stilla di morale evangelica, e di queste una ne vidi, ben mel ricordo, in otto o dieci tomi in gran quarto, del padre Concina, se ben mi ricordo. Quanti dogmatici o scolastici, che danno i loro dogmi e vogliono le loro scuole per infallibili! Quanti di controversie e dispute letterarie, ai quali si dovrebbe porre quel cartello che io vidi in una libreria di Piemonte posto sulla scanzia di tai libri da un bibliotecario di buon giudizio: «per la risurrezione de’ morti»! Io faceva così tra me stesso un computo delle persone, del tempo, della fatica e dello studio, che avean contribuito a fabbricare tanta merce, calcolava gli operai, la carta, le spese, le industrie usate a stampare, e considerava il luogo che occupavano tanti libri, i manifesti e le dispute che producevano, i giornalisti che le annunziavano, ecc., e diceva tra me: ?Oh che perdita immensa!
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Prevòt Concina Piemonte
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