Chi bene esamina questo giro di cose, presto conosce che il fine di tali opere e dei loro autori altro non è fuor che di far presto un volume il qual possa vendersi, a peso e a mole, due o tre lire venete(34).
Or pensate che in questo sono occupati degli uomini dotti, di merito vero e di studio e d’ingegno. Né qui già non voglio con sopracciglio socratico richiamargli al loro primo ed essenziale destino di giovare con l’istruzione e col diletto agli uomini loro pari, dai quali le arti e le lettere sarebbon legittimamente bandite, se non servissero a qualche cosa, anzi sarebbono riputate un veleno, occupando in baie tanti talenti e distraendoli dal concorrere al ben pubblico, come sarebbero obbligati. Io crederò, se volete, che le lettere morali e critiche, le poesie panegiriche o drammatiche, le novelle, i romanzi italiani, possano dilettando essere utili nelle gran città, quando siano ben maneggiate queste materie, e dirò che un cittadino, un uomo d’onore, un capo di famiglia, potrà talor sollevarsi con sì fatte letture e studi e divertirsi lecitamente, non però facendone il suo mestiere, che questo non so intenderlo. Nientedimeno confessarmi dovrete che lievissimo è sempre il vantaggio che quindi nasce, e che la patria difficilmente s’appagherebbe, quando esiger volesse i suoi diritti da alcuno, se egli vantasse d’aver composto e stampato un giornale, una gazzetta, un almanacco, e de’ capitoli e delle canzoni. In fatti, la generale opinione sopra questa classe di autori e di letterati, per quanto ognun cerchi di occultarla a se stesso, è molto disfavorevole al loro decoro, e spesso anche al loro onore.
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