Quindi, il meno che se ne dica e pensi, egli è riguardargli come inutili almeno, e fastidiosi e importuni alla vita sociale. Molti di loro si son fatti un tal credito che le oneste persone se ne tengono cautamente lontane, e, quando anche lor diano la tavola, si guardan bene di dar loro la confidenza e la familiarità.
Non può negarsi che questo non sia un mal generale in ogni paese, ma in Italia esso cresce a proporzione della inutilità e bassezza dell’opere e degli autori moltiplicati e non curati dai grandi, i quali danno una specie d’educazione, tra noi, e in Francia, a coloro che si distinguono, onde sono più onesti. Perdonatemi, questa volta, ma credetemi, ch’è un gran male il veder tanti nella vostra nazione penuriare così e morire di fame, dopo aver mostrato con libri e componimenti talento non ordinario. Quanti ne ho conosciuti io solo, ai quali una guinea della mia borsa fu nell’estremità un soccorso degno d’un gran poema! Che lista farvi potrei di parecchi che nelle botteghe de’ librai per gran tomi facevano gran figura e vivevano in un tugurio affumicati ed affamati! Ma qual maggior lista, se vi nominassi coloro che dovrebbono ricompensargli e nol fanno? Se d’Alembert volesse far qualche cosa per la costoro emenda, avrebbe ben altro argomento e più ricca messe di quella che tratta nella sua prosa bellissima Sopra i grandi. Traducetela, stampatela, ed io vi prometto delle notizie aneddotte da farla tosto condannare in Italia alle fiamme e rendervi illustre. Addio.
LETTERA SESTA
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