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      Quanto v’ho detto nell’ultima mia, troppo chiaro vi mostra la verità della mia proposizione, che in Italia non avete rigorosamente letteratura italiana. Egli è innegabile che siete stati i maestri d’Europa, e che a voi altri dobbiam tutti noi barbari (come ci chiamaste con molta giustizia sino al 1500) le nostre letterature quante sono. Francesi, inglesi, tedeschi, tutti anche oggi non saprebbono forse altra cosa fuorché ammazzarsi, ubbriacarsi, e, al più, far de’ tornei o delle imprese da paladini. Ancor vedremmo, invece de’ nostri teatri e delle tragedie, rappresentarsi da saltambanchi nelle pubbliche piazze la passione di Cristo, il finale giudizio o le tentazioni di sant’Antonio, e, in vece di leggi e di processi giuridici, avremmo tuttora in uso, nella giustizia criminale, di mettere dentro l’acqua i rei e gl’innocenti per distinguere, dal galleggiare o dall’immergersi, gli uni dagli altri, o di fargli passar tra le fiamme e camminare su i ferri roventi. Sì, veramente, l’Italia ci ha illuminati e ci ha fatti uomini. Ma noi forse abbiam così fatto profitto delle sue dottrine che, lasciata addietro la nostra maestra, noi soli formammo una letteratura nazionale, che voi non avete. Di che, amico mio, nasce il tumulto e il disordine, che vi diceva, tra i vostri letterati e quella guerra crudele di tanti partiti e opinioni, quell’ardimento di tanti pigmei delle lettere, che insultano i chiari ingegni, di tanti «mostri letterari», diceva Voltaire(35), «che assalgono ogni giorno quanto v’ha di più eccellente, che lodano quanto v’ha di più spregevole nelle belle arti, e che fanno della professione delle lettere, che è sì nobile, un mestiere sì vigliacco, come essi sono». Quindi non mi maraviglio che, se alcuno di voi tenta di divertir sé e la nazione con qualche innocente capriccio o novità, incontri subito una persecuzione.


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Lettere Virgiliane - Lettere Inglesi e Mia Vita Letteraria
di Saverio Bettinelli
1758 pagine 205

   





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