lare delle Lettere di Virgilio, e pensate se non le divorai. Ma che? Trovai un vero italiano, cioè un autore pregiudicato e timido, là dove mi aspettava uno Swift o un Rabelais(40). Non mi degnai neppure di paragonarlo al Boccalini o al Tassoni. Il solo merito che vi scoprii sopra gli altri si fu l’amenità, la creanza, un uom di mondo e di buon umore, mentre gli altri han sempre dell’incivile o del rabbioso. Ma un uomo superiore ai pregiudizi, oh questo non l’ho trovato. Egli ha paura de’ suoi compatrioti, delle novelle letterarie, de’ toscani, de’ romani, de’ petrarcheschi, de’ danteschi, e dice i difetti della poesia italiana come un medico tratta le malattie de’ gran signori, cioè coprendo tutto di elogi, di lusinghe, di carezze, e spargendo i suoi pregiudizi tra quelli della nazione e della poesia, che sembra voler purgare. Ditemi, di grazia: come potrebbesi lodar Dante, Petrarca e molti altri meglio di lui, poiché sembra far le sue critiche per far risaltare i loro pregi, e spargere masse di oscuro, come dicono i pittori, per far uscire le sue figure più luminose? È vero che dice molto per un italiano, ma dice poco per un inglese, ed anche per un francese. Pensate, poi, se dice assai per un prussiano, qual ei si vuole spacciare nel previo avviso alle lettere(41). Oh! il fuoco prussiano è ben d’altra forza e d’altro impeto, che quel suo, il qual mi pare un fuoco artifiziale da divertire un po’ l’occhio e poi svanirsene in fumo. Non è prussiano no, né soldato; ma nol credo neppure un claustrale, come alcuni ne scrissero.
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