Io senza dubbio alcuno, disse lo Strozzi, mi persuado, messer Carlo, che così sia come voi dite, poscia che io tutti tre vi veggo essere d’una sentenza. E pure dianzi quando monsignor Federigo vi recò le due comparazioni degli scabbiosi, oltrecché elle parute mi erano alquanto essere disonoratamente dette, ecc.».
Nota 2. Gravina, nel Discorso a Bion Crateo. «L’infelicità delle cose partorisce appo lui [Dante] infelicità d’espressione, e, toltene alcune nobili e belle allegorie con le quali velò molti sentimenti morali, nel resto espose nude e co’ suoi propri termini le dottrine, e trasse col suo esempio al medesimo stile quei che dopo lui tennero il pregio della poesia; onde, in vece di esser le scienze velate di colori poetici, si vede appo noi la poesia sparsa di lumi scientifici, se scienze possono chiamarsi gl’intricati nodi di vote e secche, ma spiritose, parole, sulle quali per colpa del secolo andò vagando l’ingegno de’ nostri poeti..., in modo che in tutti i loro componimenti sempre s’aggirano sullo stesso, non senza oltraggio del vero e del naturale, né senza qualche tedio di quei che distendono largamente l’ali della conoscenza, che, alla fine, a voler poi porre in giusta bilancia quegl’intrecci o gruppi di parole luminose che paiono rampolli di gran dottrina, poco peso in essi si trova e nulla di reale si stringe e resta negli orecchi un non so qual desiderio di cosa più sensibile, più varia, e più viva».
Nota 3. Discorso dell’abate Conti, Sopra la Poesia italiana. «Egli osservò [il Petrarca] che Dante trasportò dall’intimo seno della filosofia e dell’altre scienze molti termini e molte idee, che non tanto recavano seco di novità quanto di difficoltà, come dice il Tasso, né tanto di maestà quanto di oscurità e d’orrore, massimamente perché i concetti erano vestiti delle lor proprie voci, mescolate da Dante, o fosse elezione o necessità della materia trattata, tra i fiori ond’è adorno il suo poema.
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