La sua maniera tanto più ci pare lodevole, quanto più si mantiene come nel mezzo tra il troppo asciutto degl’imitatori dell’antico e il troppo ardito dei seguaci del moderno Seicento».
LETTERA OTTAVA
Eppur mi bisogna violare il segreto più misterioso confidatomi dall’Algarotti con tutto il cerimoniale, o poco meno, dei liberi muratori, benché volessi pur tacervelo interamente. Ma mi sono accorto esser questo anzi un inganno dell’amor proprio (quasi geloso di non comunicare altrui ciò che gli sembra onorarlo ad esclusione degli altri) di quel che sia fedeltà di segretezza. Trattandosi, al fine, di cose che piuttosto han di che giovare alle lettere che non a danneggiare veruno, io rompo dunque il sigillo e vi fo sapere che, in un momento di entusiasmo (se non fu di debolezza), uscì a farmi il ritratto di un italiano conosciuto, del quale egli era poco contento, e che a lui pareva un compendio di que’ pregiudizi de’ quali si lamentava e un vero incomodo dell’età sua, come disse Catullo di certi poeti.
Costui, mi dicea, nato per essere un matematico, cioè a ricordarsi e combinar sempre le sue copiate idee, non mai a crearne, pur volea metter mano nelle lettere e nelle arti, giudicandone decisivamente col compasso e coll’ostinazione di una testa di tripode letterario. Ma il suo zelo più ostinato era l’adorazione degli antichi, in ogni maniera di studi, sicché per lui non avean fatto il minimo avanzamento le scienze da due mille anni in qua, e le lettere avean solo scapitato e sempre erano ite di male in peggio.
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